Anche la Mongolia ha il suo mare. Detto così potrebbe sembrare un’affermazione molto fantasiosa ma l’impressione che abbiamo mentre scendiamo dai duemila metri del nostro campo gher è quella di osservare un vastissimo specchio d’acqua all’orizzonte. Quella che osserviamo è in realtà l’immensa distesa erbosa offuscata dalla foschia ai piedi del Parco Nazionale di Gurvan Saikhan. Ci stiamo spingendo sempre a più sud, oggi toccheremo il punto più basso del nostro viaggio a poche decine di chilometri in linea d’aria dal confine con la Cina.
Scendendo dal campo gher. Mare all’orizzonte? |
Il paesaggio sembra cambiare dopo un lungo tratto su un vasto pianoro punteggiato qua e là da cavalli e capre. Dolci montagne si stagliano in primo piano, altre dall’aspetto più aspro e roccioso sullo sfondo. È un continuo saliscendi tra i pendii mentre percorriamo una sterrata scavata nel terreno. Spesso dobbiamo rallentare per attraversare fiumi in secca dei quali rimangono solamente alcune tracce evidenti. Il panorama torna ad essere prevalentemente piatto con qualche gher isolata e pastori giovanissimi a cavallo che controllano i propri greggi. In lontananza alcuni avvoltoi sono appollaiati sul terreno in attesa di spiccare il volo.
Percorrendo la steppa mongola |
Il Deserto del Gobi fa la sua comparsa mentre ci muoviamo sulla cresta di una montagnetta. Il paesaggio è una continua mutazione di colori. il verde è ora sempre più pallido e le alture con sfumature rossastre. Siamo l’ultima auto della carovana, basta poco per perdere l’orientamento, anche per un autista esperto come il nostro. Improvvisamente ci ritroviamo da soli e siamo costretti a vagare alla ricerca di qualche segno recente di pneumatico sulla pista. Chiediamo informazioni ai passeggeri di una solitaria jeep che riusciamo ad intravedere da lontano ma le indicazioni non devono essere sembrate esaustive per il nostro guidatore tanto che siamo costretti a fermarci ben due volte anche nei pressi di un caseggiato immerso nel nulla. Prima domandando a una donna all’interno di una gher, poi ad alcuni ragazzi intenti a giocare su uno pseudo campo da basket. Le dritte sono giuste e in lontananza come minuscoli puntini all’orizzonte riusciamo a scorgere le altre tre vetture. Il paesaggio è ormai arido e roccioso con le dune del deserto che si ergono alla nostra sinistra. Le uniche presenze da queste parti sono sporadici di gruppi di cammelli.
Deserto del Gobi |
Nel bel mezzo di una pianura desertica è situato il campo che ci ospiterà per la notte, il Gobiin Anar Ger Camp. Ci ritroviamo tutti nella sala ristorante per il pranzo prima di riprendere i mezzi e spostarci nei pressi di quelle che, a giusto merito, sono considerate le dune di sabbia più grandi e spettacolari della Mongolia, le Khongoriin Els. Ai loro piedi abbiamo l’opportunità di visitare la gher di una famiglia nomade. Per pochi minuti siamo loro ospiti e una donna si presenta a noi offrendoci latte di cavalla fermentato, formaggio e pane fritto.
Anziana donna all’esterno di una gher |
Alle spalle della tradizionale abitazione si erge quella che con i suoi 300 metri d’altezza è la duna più alta della zona. Ci prepariamo a scalarla ben sapendo che sarà una piccola impresa estenuante. Io preferisco togliermi le scarpe e le sistemo all’interno di un cespuglio, le riprenderò al ritorno. Il tempo sembra non trascorrere mai e la fatica è davvero tanta in quanto ad ogni passo in avanti si scivola indietro di un bel po’. Basta però voltarsi per vedere tutto lo spettacolo che ci circonda. Laggiù, in basso, c’è anche una piccola oasi. Qualcuno rinuncia, l’ultima parte è a dir poco ripida e quasi bisogna procedere a carponi ma è davvero un peccato, la vista dall’alto della duna lungo l’altro versante è a dir poco mozzafiato. I minuti sembrano ore e non ci sembra vero che siamo saliti in soli quarantacinque minuti. In breve la fatica scompare e noi rimaniamo a contemplare il paesaggio mentre il vento si alza investendo di granelli di sabbia tutto ciò che si trova sulla sua corsa, noi compresi.
Deserto del Gobi. Khongoriin Els |
Questa zona è conosciuta anche con il nome di Duut Mankhan (letteralmente “dune che cantano”) per via del suono generato proprio dal vento quando la sabbia viene mossa. La parte più bella non è ancora arrivata, decidiamo di tornare giù correndo direttamente dal punto più alto della duna. Su un terreno normale sarebbe impossibile vista la pendenza ma la sabbia che arriva alle ginocchia mentre scendi impedisce di cadere. L’oasi che vedevamo dall’alto prende il nome di Seruun Bulag. Ci fermiamo qui qualche minuto prima di fare ritorno al campo. Il contrasto tra acqua e deserto diventa un soggetto ideale da immortalare. Al Gobiin Anar mentre il sole scende all’orizzonte regalando uno splendido tramonto noi ceniamo con un abbondante piatto di noodles.
Deserto del Gobi. Seruun Bulag |
Gobiin Anar Ger Camp al tramonto |
Per ulteriori informazioni:
www.viaggigiovani.it/viaggi/mongolia
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