La pioggia è caduta incessante per tutta la notte e per lunghe ore abbiamo dormito ascoltando il tintinnio della pioggia battere sul tetto della nostra gher. Ancora intorpiditi dal sonno ci prepariamo in vista del nuovo trasferimento. Fuori fa freddo, nuvole basse aleggiano sulle montagne antistanti ma il cielo sembra aver concesso una tregua sebbene non si vedano squarci di sereno. Ci avevano avvisato che spostandoci a nord le temperature si sarebbero abbassate e così è stato. Il sentore è che anche quella di oggi sarà una giornata all’insegna del maltempo. Le previsioni meteo d’altronde lo confermano. Facciamo in tempo a fare colazione prima che cominci a piovere, nuovamente, una pioggerella sottile quanto fastidiosa. Ci mettiamo in viaggio percorrendo una monotona strada asfaltata tra ampie distese erbose e sporadiche gher a movimentare il paesaggio. A volte mi sembra di essere tornato in Patagonia se non fosse per le tradizionali abitazioni mongole.
Raggiungendo le Mongol Els |
Ci avviciniamo sempre più alle dune di sabbia di Elsen-Tasarkhai, meglio conosciute con il nome di Mongol Els. Prima di raggiungerle svoltiamo a sinistra e parcheggiamo i nostri mezzi nei pressi di alcune gher. I nomadi che vivono al loro interno possiedono alcuni cammelli ed organizzano brevi passeggiate sulle dune. La pioggia intanto aumenta d’intensità ed io decido di rifugiarmi all’interno di un’abitazione mentre gran parte del gruppo ha deciso di provare questa nuova esperienza. Sarà il tempo ma mi sento particolarmente scarico. Nella gher un anziano vestito con una tunica azzurra e un copricapo più scuro ci allieta con canzoni e musiche popolari mongole. Alcuni di noi provano a cantare qualcosa in lingua italiana ma il personaggio non sembra particolarmente entusiasta.
Visita a una famiglia nomade nei pressi delle Mongol Els |
Dalle dune il campo che ci ospiterà per la notte non è eccessivamente distante. Prendiamo posto all’Hoyor Zagal Ger Camp, nei pressi del monte Unegt Tsohio, lì dove ci stanno già aspettando per il pranzo. Il menu è molto simile a quello degli altri giorni con la solita insalatina di carote e una porzione di pollo accompagnato da riso in bianco. Trascorriamo il pomeriggio alle rovine di un monastero alle spalle delle Mongol Els. Siamo fortunati perchè ha smesso di piovere ma che peccato per il cielo coperto che appiattisce tutti i colori. L’Ovgon Khiid sorge nel bel mezzo di una vallata disseminata da bassi alberelli tra alte montagne rocciose. Anche questo sito costruito nel 1660 non fu risparmiato durante le campagne antireligiose dei primi anni del novecento. Le armate di Zungar Galdan Bochigtu arrivarono fin qui distruggendo tutto non contento di aver massacrato anche i monaci residenti.
Ovgon Khiid |
Dell’antico edificio rimane ben poco, solamente alcune mura che lasciano intravedere la sua conformazione. Dall’inizio degli anni ottanta il sito è tornato a vivere grazie ad alcuni religiosi che hanno costruito nuovi templi, uno dei quali sulla sommità di una collina. La guida ci avverte della possibile presenza di serpenti nel sito e ci ricorda che le religione buddista non ammette l’uccisione di animali. Torniamo all’accampamento dopo qualche minuto di relax ci spostiamo nella sala ristorante per la cena, proprio mentre il sole che sembrava volesse fare capolino si appresta a nascondersi dietro le montagne coperto da nuvole minacciose.
Ovgon Khiid |
Tramonto visto dall’Hoyor Zagal Ger Camp |
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